Deh! non fallirmi
Nel più grave cimento, o mia balestra,
Tu che in tanti convivi, in tanti giochi
M'hai fedele obbedito
Oggi soltanto
Reggiti come suoli, o corda mia,
Ed ali al dardo non fallaci impenna.
Se questa freccia dalla man mi sfugge
Senza cogliere il punto, una seconda
Più non ho che l'emendi
F. Schiller, Guglielmo Tell, [trad. A. Maffei] (1835)
[sel. E. Augusti]
Era naturale, e tuttavia non era indifferente; mi ricordavo che la mia sorte era d'inseguire dei fantasmi, degli esseri la cui realtà era in buona parte nella mia immaginazione; ci sono esseri infatti — ed era stato sin dalla giovinezza il mio caso — per i quali tutto ciò che ha un valore determinato, constatabile da altri, la fortuna, il successo, le posizioni brillanti, non contano; ciò che loro è necessario, sono i fantasmi. Vi sacrificano tutto il resto, mettono tutto in opera, si servono di tutto per ritrovare quel fantasma. Ma questo non tarda a svanire; allora se ne rincorre un altro, anche a rischio di tornare poi al primo.
M. Proust, Sodoma e Gomorra, [trad. di G. Marchi, Newton Compton] (1990)
[sel. E. Augusti]
Straordinari questi quattordici ragazzi. Loro sono i Barbatuques, un unico corpo che batte a ritmo di samba. Body percussion? Ecco cosa si può fare!
30 aprile 2013, h. 14.00 - [E. Augusti] Oggi si festeggia la giornata internazionale del Jazz. Decidiamo di prendercela comoda, e di raggiungere gli amici del Cafè des Arts per il concerto del duo Kamod Raj Palampuri & Nabil Hamai. Couscous per accompagnare piacevolissime sonorità world. I ritmi intonati delle tabla incontrano le curve stridenti del violino. Palampuri picchetta di sinistra e spalma di destra le sue tabla, mentre Hamai stende ampi fraseggi interrotti a tratti da circoli di ostinati. Aperture lunghe e intime si canalizzano all'improvviso in loop testardi in 7/4. Crescono finchè possono, per poi disperdersi in suggestivi pianissimo. Il violino acciacca e langue nelle arcate distese. Introduce un tema legato, che puntella in coda. Si va per imitazioni. Ma il concerto diventa presto un'occasione didattica. Palampuri racconta il suo strumento come un incontro di figure, maschile e femminile. Gioca, e ci mette tutta una storia a giustificare con arguzia, ironia e tanta fantasia le diversità timbriche delle tabla. Geniale e divertente. Il pubblico partecipa, e anche noi.
30 aprile, h. 16.40 - Dopo un lungo, lunghissimo giro per le vie della città, raggiungiamo il Museo Regionale di Scienze Naturali. Ad attenderci, i 3quietmen, Ramon Moro (tromba/flicorno/fx), Federico Marchesano (basso elettrico/fx) e Dario Bruna (batteria). Stefano Battaglia al pianoforte accoglie, in un solo intimo e partecipato, il racconto de Le città insivisibili, a cura del CLG Ensemble (Salvatore Milazzo - batteria/oggetti/percussioni, Nicola Basso - batteria, Claudio Mazzitelli - grancassa, Gigi Gobbato - tromba, Giacomo Coste - percussioni, Dario Bruna - marimba) e delle sue voci narranti (Roberto Olivero - monologhi e letture, Fabio Oldano e Francesca Bardino - budda e gli esploratori, Maurizio Franciosi - statua). Il racconto delle città invisibili diventa la storia di un invisibile. Roberto racconta la follia, e lo fa con gli occhi di chi ha subito e di chi conosce la presunzione di quanti hanno creduto di poterla disciplinare, la follia. Battaglia carica. E' una massa d'acqua che schiaccia e sostiene. Da quelle atmosfere surreali, dove la confusione è fisica quanto la testa che la contiene, riaffiora lento il gemito della tromba effettata di Moro. Quel corpo sonoro, così compatto, rotola e scava tra i pensieri. «La città era calma, ma nella notte tutto appariva dentro al buio». Persiste la marimba a martello. Effetti sinfonici e una profonda ricerca dell'incontro nella poliritmia. Intenso e suggestivo. Barcolla. Le sonorità si percepiscono disturbate. Tornano poi spesse, dense, e riempiono. Va tutto via. Ciò che resta è il tempo, sordo, che continua a scorrere scandito da una grancassa.
Poco più in là è lo stesso Museo a ospitare la fotografica Jazz de J à ZZ di Guy Le Querrec, per la prima volta in Italia. Interessanti e suggestive le installazioni. Curiosiamo ancora un po'.
30 aprile, h. 18.20 - E se poi all'improvviso ti venisse voglia di mettere da parte quei pensieri, distrarti, e perché no, ballare? In piazzale Valdo Fusi troveresti Dorado Schmitt e il suo sestetto di famiglia a rallegrarti l'anima. In realtà Dorado si fa attendere, ma chi lo aspetta sa come colmare quell'attesa. Si celebra la tradizione manouche, con rivisitazioni che vanno a comporre un medley squinternato, divertente, di grande effetto. Ci trovi dentro suggestioni balcaniche, morsi di sirtaki e csárda, e un ritmo saltellato che ti scuote. Dorado alla fine arriva, e quella del Torino Jazz Festival è la sua esclusiva italiana. Esplode lo swing più coinvolgente. Grande virtuosismo e la piazza è in festa. Arriva il bis con "Bossa Dorado".
30 aprile, h. 21.05 - Dopo una sosta al vecchio bar di Piazza Vittorio Veneto, raggiungiamo il main stage di piazza Castello. Ingresso in solitaria per l'imponente McCoy Tyner. Passo incerto, e un cappello che gli scende severo sulla fronte. Non esita, e appena sulla tastiera, le sue mani nervose e ossute afferrano. Il suo è un linguaggio misurato, elegante, che emoziona per quello che ha detto, e per quello che ha da dire. E' l'autorevolezza di chi c'era, coi grandi della storia del jazz. Così anche per i suoi compagni di viaggio, da Gary Bartz (sax) a Bryan Lynch (tromba), e poi Conrad Herwig (trombone), Gerald Cannon (contrabbasso), Francisco Mela (batteria) e Giovanni Hidalgo (percussioni). E' un jazz gentile, quello di stasera, che ci porta dritte al cuore della notte.
1 maggio, h. 01.15 - Abbiamo fatto 30? Facciamo il 1^! Grande festa del jazz...stiamo arrivando!!!
[ph. E. Augusti/M. Capozzi]
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29 aprile, h. 14.30 - [E. Augusti] La fame comincia a farsi sentire. Risveglio comodo, questa mattina. Ci sta, dopo le danze etiopi di ieri sera in piazza Castello col grande Mulatu Astatke. Pensiamo bene di raggiungere il Cafè Des Arts, dove ci attendono gli Improbabel. Duo personalissimo, Erika Sollo (voce) e Michele Anelli (contrabbasso). Un esperimento di musica nuda intenso, intimo. Si gioca coi suoni secchi e non intonati del contrabbasso, mentre la voce s'insinua, morbida. Effetti ed echi di profondità. Elettronica e noise, dalle atmosfere sinistre di Komeda ai respiri di Wheeler. Escursioni spazio-temporali che arrivano fino al folk giapponese, con una preziosa interpretazione di "Sakura".
29 aprile, h. 16.15 - Dal Cafè Des Arts al Circolo dei Lettori. Musica e parole si incontrano in un esperimento di blues in italiano. Prova a raccontarsi Francesco Forni, alla chitarra. Ci dice dell'album con Ilaria Graziano, e del suo approccio creativo. Scambio di impressioni e curiosità col Direttore Zenni e inforca la sua vecchia Höfner. Omaggio a Django Reinhardt, "Minor Swing", e inizia il suo personale, «entrare può voler dire non uscirne più». «Ci siamo rivisti senza incontrarci...in un giorno qualunque...sarò io ad incontrarti...perché fai parte dei miei vizi». Blues.
29 aprile, h. 17.12 - Ci trasferiamo un isolato più avanti. In Piazzale Valdo Fusi si celebra la collaborazione del Torino Jazz Festival con il Festival Rendez-vous de l'Erdre di Nantes. Sul palco, i Sidony Box, Elie Dalibert (sax), Manuel Adnot (chitarra) e Arthur Narcy (batteria). Scariche di adrenalina pura. Ne sa qualcosa Narcy. Fisico e brutale, taglia in due l'aria con la precisione di un chirurgo e aggancia fermo le spirali in loop della chitarra noise di Adnot. Dalibert resta strutturato, ma strilla un motivo ancora fortemente evocativo. C'è una cura maniacale per il dettaglio, e nell'improvvisazione niente è lasciato al caso. Le linee melodiche respirano, sospese. Magnetici.
29 aprile, h. 18.10 - Restiamo qui. Cambio palco, ed è il suono degli ottoni a precedere l'arrivo della Gianluca Petrella Cosmic Band. Il Piazzale si trasforma. Petrella è lì ad animare, ordinare, caricare un groove radioattivo. Potente e solida nei suoi labirinti onirici, la Cosmic Band sa dove cedere alle istigazioni del suo leader. Percorre il palco, a passo deciso, e il trombone ne mima il movimento. La prima linea è compatta, come una trincea, impenetrabile. Grande spazio ai synth di Alfonso Santimone, che raccolgono le suggestioni electro di un jazz esplorativo e audace. Il coinvolgimento è totale.
29 aprile, h. 20.50 - Il cioccolato non basta. Via Po di gran passo, e sosta obbligata per un kebab al volo. Tra pochi minuti per la sezione "Main" il palco di Piazza Castello ospiterà Miles Smiles, il progetto a firma Wallace Roney (tromba), Rick Margitza (sax), Joey DeFrancesco (organo), Larry Coryell (chitarra), Ralphe Armstrong (basso elettrico) e Alphonse Mouzon (batteria). Loro sono cinque giganti, perfettamente a proprio agio sul main stage del TJF. Ascoltandoli, e guardandoli, ti viene in mente una di quelle scene tipicamente maschili, di uomini sprofondati in divani di vecchia fabbrica a guardare l'ennesima partita di football, sorseggiando una birra ghiacciata e commentando a voce alta ogni azione. Di quegli uomini che urlano "Fallo!" e lo scambio potrebbe continuare per delle ore, per dei giorni, a discutere del se ci sia stato o meno. Ecco cos'è l'interplay tra Roney e i suoi, un rimpallo naturale di obiezioni precise e cariche di passione. C'è vigore, energia, intimità, familiarità, e un pensiero forte al Miles degli anni Settanta. Mouzon macina chilometri, marcando ogni passo sullo splash. Jones carbura, e traccia solchi profondissimi. Conversa, DeFrancesco, e lo fa con la sufficienza di chi sa già come va a finire. Braccio sinistro sciolto, appeso sul fianco, mentre la sua mano destra agguanta gli argomenti più insoliti ed efficaci, in un funk esplosivo che non teme confronti. C'è tanta ironia, e un genio poderoso e dirompente. Regalano una ballad da bis, a sorpresa, sul tema di "Time after Time". Splendidi.
29 aprile, h. 23.00 - E la buonanotte del Fringe sul lungofiume. Boltro.
30 aprile, h. 02.41 - E se andassimo a dormire? Buon International Jazz Day a tutti!
[ph. E. Augusti/M. Capozzi]
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28 aprile, h. 10.50 - [E. Augusti] TJF al terzo giorno. Siamo al Circolo dei Lettori. Tra pochi minuti Francesco Martinelli presenterà Django. Vita e musica di una leggenda zingara, il lavoro di Michael Dregni (2004) tradotto e curato dallo stesso Martinelli e riedito ora, in collaborazione con la Fondazione Siena Jazz, per la EDT. Il profilo di Django Reinhardt, uomo e musicista, è tracciato in tutta la sua eccezionale complessità, e trova al Torino Jazz Festival uno spazio d'approfondimento, scientifico, a portata di tutti. Martinelli ne ripercorre la storia, dalle origini della sua gente, all'infanzia del carrozzone, al dramma che ne sconvolse la vita e lo portò a diventare quello che oggi rappresenta per la storia del jazz, un'icona cioè della sua anima più "gipsy". Martinelli snocciola aneddoti e curiosità, a farcire le pagine più intense di una storia del jazz sconosciuta ai più. Poco più in là, la mostra multimediale Django Reinhards Swing de Paris, fortemente voluta da Stefano Zenni, in collaborazione con la Cité de la Musique di Parigi.
28 aprile, h. 14.00 - La domenica effervescente del Torino Jazz Festival continua sul palco Fringe col Tineke Postma 4tet. Fabio Giachino al pianoforte, Davide Liberti al contrabbasso e Ruben Bellavia alla batteria accompagnano il sax di una Tineke Postma in splendida forma. La sua voce soffiata spinge fino al limite, per ritornare morbida ai volumi che le sono più congeniali, sulle tracce di Bill Evans. Approfittiamo del brunch creolo New Orleans, allestito sul lungofiume dei Murazzi e via verso il Circolo dei Lettori.
28 aprile, h. 15.58 - Al Circolo dei Lettori si continua con la rassegna Book. Marcello Piras propone un titolo provocatorio per una conferenza che vuole mettere in discussione l'assunto sulle origini, americane, del jazz. Da dove gli USA hanno ricevuto il jazz? lascia già intravedere la risposta al quesito. L'allusione è dichiarata al fenomeno delle migrazioni e delle recezioni di qualcosa che se non è jazz ci somiglia, e viene da lontano. Nessuna origine dal basso, dunque, nessun campo di cotone. Se l'autorappresentazione di un jazz tutto americano trova nelle finzioni anagrafiche dei suoi protagonisti ottocenteschi il sospetto, e nell' "insularity" degli USA la sua spiegazione psicologica, la satira di fine secolo ne svela l'errore. Si pensi alla copertina del The Mascot del 1890. Proiezione. Quello che si ascoltava a New Orleans in quegli anni aveva il gusto delle "balene arabe" e "delle scimmie ripiene", attraeva e respingeva allo stesso tempo. L'esotico comunque arrivava, e non viaggiava sui fiocchi bianchi trasportati dal vento, ma sui legni battenti bandiera francese. Tanti gli spunti e i materiali per riflettere. L'occasione è preziosa per lasciarsi incuriosire. Addetti e non addetti ai lavori.
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