[E. Augusti] La mia generazione dovrebbe essere particolarmente grata a Ugo Sbisà, perché leggendo la sua Puglia, le età del jazz (ADDA, 2017) può appropriarsi di un pezzo di storia che altrimenti le resterebbe sconosciuto, della memoria privata di pochi eletti che, in un tempo neanche poi tanto lontano, sono stati baciati dalla buona stella del jazz. Una storia che è memoria e racconto, e forse, anche per questo, più preziosa. Una storia resa ancora più viva dalla scrittura, fluida, magnetica, personale e accattivante di Sbisà.
Puglia, le età del jazz non è una storia del jazz; non è un elenco di nomi di musicisti, operatori musicali, discografici; non è una storia locale, dove locale è sinonimo di periferico e marginale; non è una sintesi né un bignamino per neofiti; non è una collezione di “storie minime”; non è un’appendice de L’Italia del Jazz di Mazzoletti. Questo volume, del quale (per chi non l’avesse ancora fatto) consiglio caldamente la lettura, è qualcosa di più: è il diario di un uomo che ha vissuto con intelligenza, umiltà, grande passione e, perché no, anche con un pizzico di fortuna, la musica, e il jazz in particolare; è un “affare” di famiglia che si svolge nel capoluogo barese e nelle sue mille periferie, dal secondo dopoguerra a oggi; è un viaggio in una Puglia liquida, dove una distanza Bari-Muro Leccese non è poi così azzardata da immaginare (e percorrere) più volte in una sera; è un viaggio in cui i compagni d’avventura sono quelli che la condivisione di una passione sceglie per te, in una rete di relazioni e amicizie in cui non conta nient'altro, neanche l’età conta; è un viaggio in una geografia di luoghi conosciuti e sconosciuti, visitati in un tempo imprevisto e imprevedibile dai più grandi nomi del jazz; un viaggio, d’altronde, di cui possiamo oggi ricostruire le tappe grazie all’impegno di intelligenze, sensibilità, intuizioni, sogni, capacità (e competenze) progettuali e manageriali sempre più rare; è un viaggio che rischiara l’opacità di alcune, controverse, storie locali del jazz; è un monito a chi, oggi, ha la presunzione di potersi occupare di musica, di jazz e più in generale di cultura; è, d’altro canto, uno strumento, un vademecum prezioso che Ugo Sbisà dona agli amministratori della nostra Puglia e a tutti i suoi, veri o professi, operatori culturali.
Se ne raccomanda fervidamente l'uso.
insegnami a volare - gli chiese - ma non come un uccello. insegnami a volare come un aquilone. che qualcuno mi si possa aggrappare con forza e convincersi di tenermi stretto a sé, e di impedirmi di andar via; che sia io in realtà a permettergli di sognare e sfidare se stesso, a trascinarlo oltre i suoi limiti, senza mai farlo andare via da lì. insegnami a volare come un aquilone.
eliana
dei miei scatti dispari di #traccedisud, quando ero un'insolit@ph., questo è quello a cui forse sono più affezionata. forse perché è il primo, ma non solo. ho sempre amato giocare con le parole. una parola che non mi è mai piaciuta, per esempio, è stata "sbaglio", "sbagliare", forse perché sbanda, sbatte, sbadiglia, ha un cattivo odore e si digerisce male. le ho sempre preferito "errore", "errare", per una ragione semplice. perché errando all'infinito (errare, appunto), si scoprono percorsi inimmaginabili, persone stra-ordinarie, vite di-verse, e in quell'incedere un po' improvvisato e un po' vago e svagato, un po' ci si perde, ma poi ci si ritrova più belli, e tutto assume un altro colore. l'errore sono io, che erro felice, in tutte le mie direzioni.
eliana
[Novoli] Stasera siamo stati al Teatro comunale di Novoli per ascoltare 'Buh Bah', il progetto a firma Carolina Bubbico e Marco Bardoscia. Ci è piaciuto moltissimo, e non solo per la selezione dei brani proposti e finemente riarrangiati, ma anche per la straordinaria capacità dei due di reinventare il significato di 'musica nuda'. Eleganza, stile, personalità, intesa, ma anche un tocco di ironia e voglia di stare e giocare insieme che non guasta mai. Bello vero [clicca qui per il livediary]
[Lecce] Suggestiva serata, ieri, alla Fondazione Palmieri. Roberto Ottaviano ha presentato il suo nuovo lavoro, "Astrolabio", per Dodicilune Edizioni Discografiche e Musicali. Un gruppo d’eccezione per un progetto che combina al meglio esperienza e ricerca: accanto al sax di Ottaviano, le voci straordinarie e caratterizzate del clarinetto di Gianluigi Trovesi, del trombone di Glenn Ferris e della tuba di Michel Godard. Profondità, circolarità esplorativa, reminiscenze klezmer, e tutta la bellezza dell’incontro, del dialogo estemporaneo, della visione condivisa. Un viaggio senza meta, al buio, con pochi strumenti tra le mani, preziosissimi. Una preghiera, una contemplazione da vivere ad occhi chiusi per goderne a pieno tutte le suggestioni [clicca qui per il livediary]
La grandezza dell’oceano fuori, la sua mitezza a riva, quando incontra la sabbia e ad uno ad uno ne accarezza i granelli. Limpido e dolcissimo il ricordo di un viaggio che nulla ha di drammatico e triste: “Le Favelas di Rio” apre il concept album del Remo Vinciguerra Trio (Remo Vinciguerra, Alberto Biondi, Alfredo De Innocentiis). Binario 21 (Azzurramusic, 2016) è un album dedicato al ricordo, un esorcismo del dramma, un pensiero profondo, una dedica alle persone, alle loro vite colte all’improvviso dall’angoscia, dall’ansia, dalla paura, dalla tragedia, dalla morte. Ma Binario 21 non è un album buio. Dentro ogni brano c’è una luce, una carezza, un sogno, l’avvolgente e calda melodia del conforto. Un’empatia che attraversa il tempo e lo spazio, da Rio a Milano, da Brandeburgo a Roma, ad Amsterdam, a Varsavia, a L’Aquila. Un racconto leggero e dolcissimo, di storie di uomini, di donne, di bimbi sottratti alla gioia giusta del presente e privati per sempre della speranza del futuro, chiusi in un passato che pesa sulle spalle e sulle coscienze di chi resta e spesso, troppo spesso, dimentica. Le parole di Paola Parri, così come compaiono nel booklet, non avrebbero potuto introdurlo meglio. Credo sia questo il momento migliore per riproporne l’ascolto.
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