[E. Greco] La nostalgia sa di qualcosa che non conosci finché non la senti in bocca. Ha un sapore amaro come il fiele. Ti si spalma bene sul palato, poi diventa quasi dolce, come dopo aver mangiato un buon cioccolatino. E quella sensazione di dolce ti rimane ferma sulla lingua, fino a sfumare, lentamente. Quasi dolce, fino a sfumare. Ma la nostalgia non sfuma così. È come se all'improvviso si riempisse d’amaro, di un amaro che non sopporti. Ti servirebbe un qualcosa di forte per mandarla giù, un buon bicchiere di qualcosa, forte abbastanza da spegnere quell'amaro, da anestetizzare la lingua e fugarla via. Quando questa bestia morde, beh, fa male, brucia nel petto forte, come quel rum che hai mandato giù. Solo che quello ti accende un focolaio di piacere giù in fondo. E pensi che sei al sicuro, al caldo, un caldo che scioglie e stordisce. Invece la bestia continua a mordere e a bruciare, e senti che non ti molla. Ma a un certo punto lo fa, ti molla. E sfuma. È dolce nello sfumare, e lenta. E va, e torna, e sai che nel bel mezzo della notte ti sveglierà, e la odierai, ma non potrai farne a meno. E sai anche che poi se ne andrà, come fanno tutte le cose. Se ne andrà col sole, e non tornerà. Ci sono nostalgie e nostalgie, nostalgie che ammalano e tornano, nostalgie che ti prendono e poi muoiono. Quelle che muoiono non passano dal cuore e benché meno si ricordano di dire qualcosa al cervello. Nostalgie. Nostalgia. Te ne andrai col sole caldo dell'estate, forse mi lascerai prima, e non ti verrò a cercare, mai. Qualcosa me l'hai detta, la dici sempre quando mordi, solo che a volte preferisco non sentire, e volgere lo sguardo altrove, e tapparmi bene le orecchie. Tira vento quando ci sei, ed è un vento freddo, eppure non sei figlia dell'inverno. Arrivi quando vuoi e quando vorrai te ne andrai. Ti ritrovo qui, nelle orecchie, densa e amara canzone, tra le righe di un libro che mi metto a leggere un po’ per noia. Capiti, come capitano tante cose, come capita la pioggia col sole. Ma prima di andartene, mi farai sorridere, perché so perché sei venuta. Non posso farne a meno. Mi scrollerò di dosso quel pensiero e andrò verso una strada soleggiata, con aria frettolosa, e so già dove ti ritroverò. Lì, alla prossima fermata ti ritroverò, e ti ignorerò di nuovo. Tu come me passerai oltre e sorriderai. Sai che lo farai, perché non puoi fare altro che osservarla, la nostalgia, mentre ti cammina accanto. E te la ritroverai di fronte, o ti seguirà, o ti abiterà dentro. Poi arriverà il giorno in cui se ne andrà, e magari proprio in quel giorno lì, capirai che la vuoi. E finirà per mancarti, e la andrai a cercare. Ma non sarà più tempo. Eppure la vorrai.
Sapeva che Ursula lo stava guardando. A differenza sua, lei non si nascondeva. Lo aveva osservato, all'inizio divertita, poi concentrata sul movimento delle mani, sulla carnosità delle labbra, sulla fronte sudata di cui riusciva a intuire il profilo percorrendogli le tempie, gli zigomi, il mento. E anche lei sudava, anche lei riusciva a sentire la morbidezza dell'impasto. Lo osservò con venerazione come se stesse ammirando un paesaggio che poteva sminuzzare tra le mani, succhiare, annusare. E così fece. Lei non aveva mai visto nessuno cucinare così; quel rituale le faceva desiderare di mangiarsi il cuoco invece del dolce. Non aveva mai visto nessuno cucinare con tanto amore, un amore solido, liquido, gassoso; un amore che attraversava il cortile e ingigantiva le corolle delle petunie, trasformando il davanzale della finestra in una selva che si faceva strada verso l'inevitabile.
Cristina Lopez Barrio, La casa degli amori impossibili (2011)
[sel. E. Greco]