Così è la mia vita,
un affresco molteplice e variabile
che solo io posso decifrare
e che mi appartiene come un segreto.
La mente seleziona, esagera, tradisce,
gli avvenimenti si sfumano,
le persone si dimenticano
e alla fine rimane solo il percorso dell’anima,
quei rari momenti di rivelazione dello spirito.
Non interessa ciò che mi è accaduto,
ma le cicatrici
che mi segnano e mi distinguono.
Isabel Allende, Paula, 1995
[sel. M. Capozzi]
Ti dirò, anche se viaggi di paese in paese, per terre che mai prima hai veduto e grandi città piene di gente che mai prima hai conosciuto, anche se percorri tutta la terra, non imparerai mai tanto quanto dal mare...
Dal mare si può imparare moltissimo. Il mare racchiude più sapere di qualsiasi altra cosa sulla terra, se sei capace di farlo parlare. Conosce tutti i vecchi segreti, perché lui stesso è così antico, più antico di tutto. Anche i tuoi segreti conosce, non illuderti. E se tu ti abbandoni a lui completamente e lasci che si prenda cura di te, se non t’intrometti con le tue insignificanti obiezioni, se non t’intestardisci su ciò che è troppo effimero e insignificante perché il mare se ne curi o persino ascolti che cosa mai vai borbottando mentre parla, mentre sta per rovesciarsi sopra la barca, allora può dare pace alla tua anima, sempre che tu ne abbia una. E se è la pace che cerchi. Questo non lo so. E non mi riguarda. Ma sia come sia, è solo sul mare, che non ha mai pace, che potrai trovare la pace. Il mare è la sola cosa che sento sacra. E ogni giorno lo ringrazio di esistere. Per quanto infuri e faccia burrasca io lo ringrazio. Perché dà pace. Non tranquillità, ma pace. Perché è crudele e duro e spietato e tuttavia dà pace.
... non avevo mai veduto il mare. Molte altre cose avevo visto, forse troppe. Uomini avevo visto, forse troppi. Ma il mare mai. E perciò non avevo ancora compreso nulla, non avevo capito assolutamente nulla. Come si può capire qualcosa della vita, e capire a fondo se stessi, se non lo si è imparato dal mare? Come si può comprendere gli uomini e la loro vita, il loro vano sforzarsi e il loro inseguire mete bizzarre, prima di aver spaziato con lo sguardo sul mare, che è sconfinato e basta a se stesso?
Pär Fabian Lagerkvist, Pellegrino sul mare, 1962
[sel. M. Capozzi]
“Get the hell outta my fortress!”
Muoversi vorticosamene, senza mai iuscire a spostarsi. Ritrovarsi costantemente in scenari stagnanti, intrappolati in luoghi dal raffinato sapore noir, che non conducono ad alcuna via di fuga ma restano incastrati in un grottesco cul-de-sac.
Polanski. Irriverente, sopra le righe, come solo lui sa essere. Con toni da humour leggero alla Samuel Beckett, tesse un complicato intreccio di relazioni in cui bianco e nero, luce ed ombra, tutto e niente, certezze attese ed illusioni disattese si snodano tra le note di Krzysztof Komeda.
Il film è “Cul-de-Sac”, Roman Polanski, 1966.
[sel. M. Capozzi]
Non si stancava mai di guardare sorgere il sole: rosso acceso, dorato, lavato nelle acque del grande mare. Il sole nascente gli ispirava sempre lo stesso pensiero: a differenza dell'astro celeste, il figlio dell'uomo non si rinnova mai e per questo è destinato alla morte. L'uomo ha ricordi, rimorsi e rancori che si accumulano dentro di lui come strati di polvere finché gli impediscono di ricevere la luce e la vita che discende dal cielo. Il creato, invece, si rinnova costantemente. Se il cielo si rannuvola, poi si rasserena. Il sole tramonta, ma ogni mattino rinasce. Le stelle o la luna non recano le tracce del tempo. La continuità del processo di creazione della natura non appare mai tanto ovvia come all'alba, quando cade la rugiada, gli uccellini cinguettano, il fiume s'infiamma, l'erba è umida e fresca. Felice è l'uomo che sa rinnovarsi insieme al creato.
Isaac Bashevis Singer, Io non mi affido agli uomini, in Racconti (1957-1981)
[sel. M. Capozzi]
A me piace vedere le persone riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre incontro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l'impazienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abbastanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno, mi siedo in disparte con un caffè e scrivo nel diario, controllo gli orari dei voli anche se ormai li conosco a memoria, osservo e scrivo, cerco di non ricordare la vita che non volevo perdere ma che ho perduto e devo ricordare, essere qui mi riempie di gioia il cuore anche se la gioia non è mia.
J. Safran Foer, Molto forte, incredibilmente vicino (2005)
[sel. M. Capozzi]
Ero felice, non ci si accorge mai di esserlo e mi chiesi perchè l’assimilazione di un sentimento così benevolo ci trovi sempre impreparati, sbadati, tanto che conosciamo solo la nostalgia della felicità, o la sua perenne attesa.
Non ti muovere (M.Mazzantini, 2002)
[sel. M. Capozzi]