[E. Augusti] Salice Salentino (Le). Si è chiusa ieri, 11 settembre 2011, la V edizione della tregiorni Salice JazzWine Festival, direzione artistica di Andrea Sabatino, conduzione impeccabile di Luisa Ruggio. Una «scommessa vincente», ha sottolineato Sabatino, dove a vincere è stato il «jazz, che è amore, passione, emozione». Nient’altro.
Ad aprire la serata, Mirko Signorile Trio, con Mirko Signorile (piano), Giorgio Vendola (contrabbasso) e Fabio Accardi (batteria). L’album, Clessidra (Emarcy Universal, 2009) è proposto in una selezione raffinatissima che empatizza con le atmosfere rilassate di una fresca sera di fine estate. Il pianismo di Signorile è un moto d’onda, che raccoglie e trascina. È tutto un morbido fluire, canalizzato dalla voce avvolgente di Vendola, fino ai break poliritmici di Accardi. Esplosivi, macinano allusioni hard che si innestano inaspettate, rompono e dettano un groove cangiante che insaporisce. C’è tempo per un inedito del nuovo album, in uscita a novembre. Il melodismo è dichiarato. La linearità dei temi percorre senza scossoni, lasciando naturalmente spazio all’improvvisazione.
Il tempo di un cambio scena, e sul palco arriva Paolo Recchia e il suo Ari’s Desire (Via Veneto Jazz, 2011). Con Recchia al sax contralto, ci sono Nicola Angelucci (batteria), Nicola Muresu (contrabbasso) e il feat. di Alex Sipiagin (tromba e flicorno). Dalle rivisitazioni in stile di Sonny Rollins e Leslie Bricusse, ai personali, tutti a firma Paolo Recchia. Tenor Madness arriva dinamica, coi continui cambi di tempo. Tutto è spinto nel registro acuto, distratto da cromatismi e intervalli ampi di Recchia. Il suo sax, libero e spigoloso, schianta fragoroso con la tromba d’attesa di Sipiagin, calda e rarefatta, per poi invertirne la direzione e trovare nuova ispirazione in un dialogo scanzonato e divertente dal contrappunto vivace. Muresu imbastisce, discreto. Quando parte Boulevard Victor è Angelucci a farla da padrone. Ispirato e trascinante, polarizza e stacca tempi che sequenziano il racconto di Resta. Peace Hotel apre mistico e pacificante. Angelucci rulla il timpano. Quando attacca Sipiagin, lo spazio prende una nuova dimensione, generosa e ampia. Recchia la intercetta e si infila negli interstizi colmi dei suoi divertimenti. Un virtuosismo composto che non distrae dall’intenzione melodica e dall’estro compositivo. Il mosaico è perfetto. Ritorna la voce di Rollins con Pent-Up House. Goliardico nello spirito che anima gli scambi confidenziali sax-trumpet e piacevolissimo e magistralmente saporito dall’eclettismo di Angelucci. I suoi drums descrivono e, impeccabili, lanciano uno swing sconsideratamente personale che caratterizza con verve la sezione ritmica. Freme dalla seconda fila Muresu. Il tune si fa romantico e struggente con Who Can I Turn To. Sensuale il sax di Recchia, controllatissimo e vibrante nei pianissimo. Largo e ispido, Sipiagin contrasta con le sue esplorazioni al limite del registro acuto. Prende un groove che cresce, e cambia il piglio, lasciandosi anni luce alle spalle la morbidezza dell’attacco. Un romanticismo schizofrenico che conquista.
E l’appuntamento è rinnovato al prossimo anno.