[E. Augusti] Serata piacevolissima. Martano e l'ospitalità della Grecìa salentina. Piazza gremita per l'ultima tappa del Festival itinerante de "La Notte della Taranta" prima del Concertone del prossimo 23 agosto a Melpignano. Stand enogastronimici, curiosità, bontà salentine e, soprattutto, il fascino delle sonorità di URA. Maria Mazzotta (voce) e Redi Hasa (violoncello), e poi Ovidio Venturoso (batteria, percussioni), Valerio Daniele (chitarra) e Rita Marcotulli (pianoforte, tastiere). Quella "contaminazione", parola tra le più abusate nel racconto di incontri come quello di ieri, non rende ancora abbastanza l'intensità dello scambio, del dialogo, del connubio tra esperienze e sensibilità così diverse. Folk, jazz, traduzioni, tradizioni con un passato lunghissimo alle spalle, e la musica che non smette di ripensare il tempo, e azzerare le distanze. Lasciando da parte il "caleidoscopio" delle suggestioni che abbiamo assaporato, resta l'eccellenza della proposta della serata. Un pubblico rapito, affascinato da sonorità insolite, riportate presto alla tradizione dall'incessante battito delle percussioni. Edifici di voci, avvolgenti, altissimi. La magia dei loop, e la preziosità di un pianoforte. La pioggia è un sipario improvviso, che cala e apre una nuova scena, al di là del palco centrale. I salentini non sanno cosa significhi perdersi d'animo, la pizzica comincia a battere tra la folla e riempie i sorrisi.
[R. Manca] Vediamo cosa mi viene fuori, sono due giorni che la sento, la sto sentendo adesso. Meravigliosa, non la conoscevo. Dovrei riuscire a dirla in senso assoluto, solo dopo darle la voce di Giancarlo Paglialunga, la migliore. Non credo di farcela. Ha una sonorità diversa da tutte le altre nostre, più morbida, molto sensuale. Era tutto semplice prima, faticosissimo e semplice, così è la terra. E l’amore era davvero desiderio, gli occhi di una donna potevano dare un senso al risveglio, o al ritorno sfinito dai campi quando il Sole “cala”. Pochi attimi, un sospiro, un bacio non dato, Nennu è già sera.
La prima strofa è tutta sua, il suo batticuore. Voglio dire con questo che sembra fermare il momento dello stupore. Poi le avrà pure detto qualcosa, sicuramente lo avrà detto male, troppo bella lei, troppo improvvisa, ma queste parole cantate sono soprattutto la sua emozione intima. “Ferma” è la prima, qui sta l’attimo di cui parlavo, c’è anche tutto il desiderio, lo stesso che sento in “ca si carcerata” e ancora di più in “sola, sola”. Stupendo.
Ma Lei parla, ne sono sicuro. La seconda strofa, invece, sono proprio le sue parole. Avverto cioè una diretta corrispondenza tra i pensieri di Lei e i versi: in fondo questa è la sua semplicità, la sua limpidezza, di questo Nenno s’innamorò. “lassame scire nennu, lassame scire”; si sente il movimento (“pe la strata”), la sua camminata svelta e gli occhi bassi, Nennu il sole sta calando.
Ora non vado avanti, tra un attimo; prima spero sia chiara questa dialettica dolcissima (la stessa tra piano e mandolino), e il contrasto tra la prima strofa, fatta di un attimo, un sospiro, di parole che rimangono negli occhi di Nenno e la seconda che è più distesa, limpida e descrittiva, vi si coglie addirittura la voce affrettata di Lei. Questo contrasto sta nei versi esattamente come nelle due anime. Questo è Nenno, così è Lei. Ecco, le parole si fanno materia, lui, lei (terra per me), sono quello che dicono. Poesia. Meraviglioso.
Continuo. Nennu è forte e generoso come la terra che ara ad ogni alba, Nennu è la terra, Lei è l’acqua (torniamo al “limpida” di prima). Nennu è per noi un continuo oscillare tra il livello dell’azione, della voce e quello del pensiero e delle emozioni. Ne ha tante. “E buonasera a lei porta nserrata”: è chiaramente scuro come la notte, nervoso dico, desidera, invano ora. Anche qui: è la sua voce? O le parole che rimangono tra i denti?. Lei è molto più rassicurante, per noi intendo (anche per nennu , ovvio). Per noi, sì, non ci crea il dubbio dei due livelli che dicevo, lei parla, chiaramente, anche nella terza strofa, e lo fa con tale armonia che poi Nennu può solo tacere (“pacienzia Nennu, no su sola”, così finisce la strofa). È acqua. Nennu la terra.
Avete mai visto la terra rossa quando aspetta la pioggia di settembre? Zolle dure e ostinante, dentro tengono il miracolo. L’attesa, il rimorso, il rimpianto, siamo all’ultima strofa. Ancora una volta, e per sempre, Nennu ci spiazza con parole fuori dal tempo: non so dire se fermano quell’attimo, o sono l’attesa di poi, o il rimpianto, o il “Rimorso”. Non lo so, ma sono un miracolo.
Ferma zitella ca si carcerata
mo ci t'aggiu 'ncuntrata sola sola
mo sola sola mo sola sola
mo ci t'aggiu 'ncuntrata sola sola
Lassame scire nennu pe la strata
ca su zitella e perdu la furtuna
mo la fortuna mo la furtuna
ca su zitella e perdu la furtuna
Vieni stasera alla mia camerata
la mia mamma nun c'è e me corcu sola
me corcu sola me corcu sola
la mia mamma nun c'è e me corcu sola
E buonasera a lei porta nserrata
pacenzia nennu mo ca nò sù sola
ca no su sola ca no su sola
pacenzia nennu mo ca nò sù sola
Tutte le curpe a me ca l'aggiu lassata
Quannu l'aggiù 'ncuntrata sola sola
Mo sola sola mo sola sola
Quannu l'aggiù 'ncuntrata sola sola